(da: Discorso dell'ombra e dello stemma di Giorgio Manganelli)
Oggi, mezzo gennaio, non è giornata allegra; cielo nubiloso, aritmie, il solito disordine che a farsi potabile richiede il tempo che una sardina impiega a farsi capodoglio. Ovvio che la sardina mi abbia orientato verso l’olio, e dunque l’Oglio, e l’ingrata patria, gli ossicini io non ti do. Ecco, in un giorno come questo è difficile fare l’unica cosa che io sappia veramente fare: comprare libri. Quando la primavera si sbizzarrisce, e i capri petulchi lasciviano pe’ prati, e l’odore della mortella – erba di cui ignoro tutto, e che quindi è puramente letteraria – impreziosisce l’aria, io vado ad acquistare libri. Badate: io non ho detto che vado ad acquistare libri che ho preventivamente scelto, che voglio assolutamente, che, acquistati, porterò golosamente a casa e leggerò, scrivendo poi un mirabile saggio critico, splendore di acutezza e di segreta poesia, destinato a procurarmi lettere di appassionati lettori, sconvolti e rigenerati. Macché. L’unica faccenda che mi sta a cuore è questa appunto: comprare libri. Ora, il quesito, la quaestio quodlibetalis è come segue: colui che acquista libri è per ciò stesso un lettore? Ovviamente, la maggioranza dei leggenti queste righe, se ve ne sono, penseranno che no; lettore è colui che legge. Quale errore. Non v’ha dubbio che è naturale che il lettore legga, ma contesto che per esser lettori si debba assolutamente leggere; e soprattutto che acquistare libri non sia gesto di lettore. Ma se il libro non lo leggi, che senso avrà mai che se ne stia nella tua biblioteca? E tu stesso lo dici: forse non lo leggerò mai, magari un giorno lo regalerò. Eh no, quest’ultima facezia me la fate dire voi, io i libri acquistati non letti, forse non mai letti, nemmeno li presto. Essi ‘mi servono’. Servono a che? Servono grazie alla naturale attività magica e umbràtile e stemmica che un libro esercita. Un libro lo si compra con animo che suppongo simile a quello con cui si dipingevano bovi e capri nelle caverne paleolitiche. Una mucca dipinta non si munge né si mangia, ma è ‘la mucca’, cosa che non è consentito ad alcuna altra mucca. E così il libro non letto, acquistato e depositato sugli scaffali, è ‘il libro’. Acquistare un libro ha un effetto nervino che nessun altro gesto può avere; è una scelta del tutto onirica, isterica, fantastica, e suppone un progetto di vita, e naturalmente più libri possono alludere a più progetti di vita. (da: Discorso dell'ombra e dello stemma di Giorgio Manganelli)
0 Commenti
Prima del diciannovesimo secolo, la letteratura si presentava quasi esclusivamente in forma di soliloquio, non di dialogo. E, al contrario di quanto comunemente si ritiene, sono gli uomini e non le donne il genere più ciarliero. In tutte le biblioteche del mondo si sentono maschi che parlano a se stessi e perlopiù di se stessi. È vero che le donne offrono molti spunti di riflessione e compaiono spesso. Ma ora ci stiamo accorgendo sempre più che Lady Macbeth, Cordelia, Ofelia, Clarissa, Dora, Diana, Helen e le altre non sono affatto quelle che fingono di essere. Alcune sono semplicemente degli uomini travestiti. Altre rappresentano quello che agli uomini piacerebbe essere, o che sono consci di non essere. Oppure incarnano l’insoddisfazione e la disperazione che affliggono la maggior parte delle persone quando si mettono a riflettere sulla triste condizione del genere umano. Scacciare e infondere in una persona del sesso opposto tutto quanto manca a noi stessi e desideriamo nell’universo e detestiamo nell’umanità è un istinto profondo e universale che si può trovare negli uomini e nelle donne. Ma, anche se è consolante, non ci permette di arrivare alla comprensione. Rochester è un grande travestimento della verità sugli uomini così come Cordelia lo è della verità sulle donne. [18 marzo 1918] Da: Consigli a un aspirante scrittore ed. BUR. Virginia Woolf (25 gennaio 1882 - 28 marzo 1941) Nascere, vivere, morire, sono verità universali e sequenza naturale. Se vogliamo trasformarle in verità personale e sequenza culturale, dobbiamo scrivere molto di più di quei tre verbi, in quell’ordine disposti, e ammettere che tra i due estremi di un nulla e un nulla, il vivere possa racchiudere in sé certe nascite e certe morti, non solo quelle di coloro che in qualche modo ci possano toccare o riguardare, ma tante altre, anch’esse nostre: simili alla pelle del serpente, anche noi cambiamo pelle quando non vi rientriamo più, oppure ci vengono a mancare le forze e ci atrofizziamo, ma questo capita solo agli esseri umani. Una pelle vecchia, risecchita, sgretolabile, ricopre queste pagine con quelle pellicole bianche e nere che sono le parole e gli spazi fra una parola e l’altra. In questo momento, direi che sono scuoiato come San Bartolomeo, immagine, non dolore. Possiedo ancora qualche residuo di pelle vecchia, ma sulle fibre muscolari e sui tendini già si distende una sottile rete, la prima metamorfosi del mio baco da seta personale che, nel bozzolo, suppongo, troverà una vita nuova e non la morte. Non mi sembra apprezzabile lo stato di crisalide: la sua inaccessibilità in quanto tale contraddice la continuità che rappresenta, per me, il flusso vivo. (Eppure la crisalide vive). (José Saramago: Manuale di pittura e calligrafia) Luciano Bianciardi, primogenito di due figli, nasce a Grosseto il 14 dicembre 1922 da Atide, cassiere della locale Banca Toscana, e Adele Guidi, severa insegnante elementare. Più tardi nasce la secondogenita Laura. La madre fin dai primissimi anni pretende da lui l’eccellenza negli studi, gli fa frequentare corsi di violoncello e di lingue straniere, seguirà poi con scrupolosa attenzione i successi letterari del figlio ormai lontano, compiendo la prima raccolta di memorie. Il padre, che aveva sognato per sé una carriera di ufficiale dell’esercito, educa il figlio all’amore per Garibaldi e a otto anni gli regala I Mille di Giuseppe Bandi, garibaldino di Gavorrano (Grosseto), fondatore del quotidiano livornese “Il Telegrafo”. La famiglia Bianciardi ha recenti ascendenze senesi e Luciano si vanta di un suo avo omonimo, disceso in Maremma per svolgervi la professione di medico.
Conseguita con un anno d’anticipo la maturità classica al Liceo-Ginnasio “Carducci-Ricasoli” di Grosseto, si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa nel novembre 1940. I contatti con gli amici grossetani sono ancora molto vivi e anzi nell’anno scolastico 194-42 accetta una supplenza di lettere nel liceo classico cittadino dove aveva studiato e dove incontra, tra le sue alunne, la sorella Laura; frequenta soprattutto Mario Terrosi, tipografo e scrittore, comunista, amico fedele di tutta la vita, Tullio Mazzoncini, medio proprietario terriero antifascista, poi segretario del Cnl provinciale e deportato a Dacau, Geno Pampaloni, la cui famiglia d’origine viveva in quel tempo nella cittadina. L'infanzia a Omegna
Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna sul Lago d’Orta in cui i genitori originari della Val Cuvia nel Varesotto si trasferiscono per lavoro. Gianni frequentò ad Omegna le prime quattro classi delle scuole elementari. Era un bambino con una corporatura minuta e un carattere piuttosto schivo che non lega con i coetanei. È molto affezionato al fratello Cesare mentre a causa della notevole differenza di età è poco in confidenza con il fratello Mario. Il padre Giuseppe fa il fornaio nella via centrale del paese e muore di bronco-polmonite quando Gianni ha solo dieci anni. In seguito a questa disgrazia la madre preferisce tornare a Gavirate il suo paese natale. Uomini! voi andate a dormire e avete anche il coraggio di sbarrare le imposte. Nel frattempo le nubi bianche spinte dal vento attraverso il cielo, meravigliose, l’una diversa dall’altra, migliaia e migliaia. La luna le illumina dall’alto, le trasforma in sogni. Ma voi dormite nella tana del diciannovesimo piano, vederle non potete. Tu anzi giaci nel buio, Giovanni, come morto.
Per ciascuna miliardi di secoli di lavorazione; e non è servito a niente! Una di color cinerino appartiene a un certo Giorgio Filicari che non conosco e che dorme. Una ha la forma di San Crisostomo ed è venuta per il nostro arcivescovo che dorme, bontà sua. Ne vedo una lunga e sottile, sdraiata come una sirena sulla spiaggia, con striature argentee e lilla, bellissima; appartiene a una giovane dissoluta che non nomino e che dorme (nel suo letto immenso). Viene la nuvola per il trattore, la nuvola per il linotipista, la nuvola per il mediatore in terreni, per il bambino del vetraio; ma tutti dormono. Però non vedo quelle dei vincitori della vita che, sparsi tra le nostre case, dormono felici. Non una, in mezzo alle miriadi, per coloro che hanno il tristissimo privilegio di avere vinto! Ma i miei concittadini sono dei gran signori. Stanno con gli occhi chiusi, orizzontali, nelle pose strane e sconce, chiusi nel tanfo delle case, dispregiano le meraviglie. Non torneranno queste nuvole così importanti, non si ripeteranno mai? Che importa? Non è tutta così mal combinata la vita? Il meglio non si butta via? Dunque! Dormiamo, dormiamo come bruti. Tutto si deposita accuratamente nell’archivio dei cieli, non va perso un solo fiato di nebbia, un giorno lo ritroveremo. (da: Dino Buzzati, In quel preciso momento) Romanziere francese (Tours 1799 - Parigi 1850). Narratore estremamente prolifico e dai toni improntati a un acceso realismo, nella sua opera ha cercato di rappresentare i molteplici aspetti della società francese della prima metà dell'Ottocento. La sua costellazione narrativa venne da lui stesso raccolta ne La Comédie humaine, pubblicata (1842-48) in 16 volumi, in cui si collegano avvenimenti e personaggi dei suoi romanzi, in uno sviluppo ciclico di antefatti e di azioni in ambienti diversi, per arrivare a una rappresentazione completa, orizzontale e verticale, della società del tempo.
1916 -1933. L'infanzia e l'adolescenza
Giorgio Bassani nasce il 4marzo l916 a Bologna, dove i genitori, Enrico e Dora Minerbi, si erano temporaneamente trasferiti. La famiglia e ferrarese da parecchie generazioni e appartenente alleata borghesia ebraica. Il padre è medico, pur non avendo mai esercitato, e mantiene il nucleo famigliare con la rendita derivante da alcune proprietà terriere; la madre segue delle lezioni di canto fino al matrimonio. Il nonno paterno Davide Bassani è un ricco commerciante di tessuti, mentre quello materno, Cesare Minerbi, svolge l’attività di primario presso l'ospedale S. Anna. La nonna da parte di padre si chiama Jenny Hannau,.quella materna Emma Marchi, cattolica. Dora ed Enrico hanno modo di conoscersi perché il dottor Minerbi è il medico dei Bassani e si sposano nel 1915. Dopo Giorgio, nascono altri due figli, Paolo e Jenny, che con lui, nell'antica casa signorile di via Cisterna del Follo a Ferrara, vivono un'infanzia e un'adolescenza piuttosto serene. Sempre nella città estense, frequenta il Liceo Classico "L. Ariosto", studiando contemporaneamente il piano: voleva diventare un musicista, ma a diciassette anni, come ricorda la sorella, smette all'improvviso di esercitarsi e si dedica anima e corpo allo studio della letteratura. Compagno di banco degli anni liceali è Lanfranco Caretti che ritroverà anche all'Università. Il suo profitto è molto buono, ma non il migliore della classe: forse è penalizzato da una leggera balbuzie, accentuata da un carattere emotivo, schivo e introverso. Il clima vissuto nel periodo del liceo è narrato in Dietro la porta (1964), in una combinazione equilibrata di componenti reali e finzione romanzesca tipica di tutta la produzione narrativa. L’insegnante che maggiormente influì in questi anni sulla sua formazione è Francesco Viviani, docente di latino e greco, celebre fra gli studenti per la sua severità e la sua intransigenza. Scriverò del nulla. Nulla di nulla. Ci avete mai pensato seriamente e vi siete mai chiesti, cos’è il nulla? Il nulla è esattamente quello che cerco di immaginare.
Guarda, una cometa piove dal nulla, cade sulla Terra e la Terra viene spazzata via dal vento del nulla in piccoli pezzi e immaginate che io sopravviva che voi sopravviviate e cominciamo il nostro viaggio attraverso il nulla. Vi piacerebbe? A me sì se ne potessi essere cosciente. Certo sarebbe una grande esperienza andarsene su e giù e a destra e a sinistra attraverso il nulla e continuare ad andare a zonzo non vedendo nulla tranne che le stelle lontane e non sentendo nulla sotto i piedi, volare attraverso il nulla. Se potessi sopravvivere me lo godrei. Anche se ben presto mi verrebbe fame e vorrei mangiare qualcosa ma non c’è niente, nel nulla, che rientri nell’ambito di qualcosa e così morirei di fame e poi sarei di nuovo a viaggiare nel nulla ma allora non lo saprei più e così non me lo godrei affatto. Perché il godere è una sensazione che fa parte dell’esistenza, come voi sapete, e per godere occorre vivere e tutto il resto, ecc. E dunque il risultato è nulla, nulla, nulla. E presto credo il tutto mi sarebbe addosso e io mi dissolverei presto e poi verrei assorbito dal nulla e diventerei parte del nulla. So che un giorno sarò nulla. (Pensaci davvero, mi dico. Pensaci davvero e considerati nulla.) Un giorno sarò nulla perché farò parte della polvere della Terra che sarà spazzata via dai venti del nulla (non i quattro venti della Terra, ma i mille miliardi di miliardi di venti del nulla) e anch’io sarò spazzato via e volerò attraverso il nulla e sarò nulla. Forse – fra un milione di anni. E sarò nulla. Cerco di pensarci sul serio e di immaginarmi nulla, ma sono troppo vivo per pensarmi nulla e così, anche se so che è inevitabile, mi sento come se tutto dovesse andare avanti per sempre, ma lo so bene. E quando la polvere della Terra sarà spazzata via dai venti del nulla, allora anche le particelle di polvere cominceranno a scindersi e dissolvendosi, emuleranno la grande azione della Terra di dissolversi e si dissolveranno. Poi le particelle delle particelle di polvere si dissolveranno anch’esse e questo processo si ripeterà un milione di miliardi di volte sino a quando anche le particelle non diventeranno così piccole che non saranno molto lontane dall’essere nulla. E poi quando l’eternità finirà, il processo di trasformazione di tutte le particelle della Terra in nulla sarà giunto a compimento. E così posso affermare che l’eternità non avrà mai fine perché è questo che significa. E dunque io la vedo a questo modo: Quando guardo in cielo e vedo il nulla (lo spazio è il nulla) dovrei inginocchiarmi e piangere di gioia di fronte alla meravigliosa perfezione di tanta nullità. Riuscite a immaginare quanti miliardi di eoni deve attraversare il nulla prima di raggiungere lo stadio di nullità? Io riesco a immaginarlo perché ho appena scoperto che la Terrà non sarà mai un nulla completo. (da: Jack Kerouac, Diario di uno scrittore affamato, ed. Mondadori) (Foto: Nicholas Buer) Italo Calvino nasce il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas, presso l'Avana (Cuba). Il padre, Mario, è un agronomo di origine sanremese, che si trova a Cuba per dirigere una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola agraria dopo venti anni passati in Messico. La madre, Evelina Mameli, di Sassari è laureata in scienze naturali e lavora come assistente di botanica all'Università di Pavia. Nel 1927, Calvino frequenta l'asilo infantile al St. George College, sempre a Cuba. Nello stesso anno nasce suo fratello Floriano, futuro geologo di fama internazionale, mentre nel 1929 frequenta le scuole Valdesi, una volta che la famiglia si trasferisce definitivamente in Italia (Calvino fa anche in tempo, alla fine delle elementari, a diventare Balilla). Nel 1934 supera l'esame per il ginnasio-liceo "G. D. Cassini" e completa la prima parte del suo percorso scolastico. |
Quei due?
Basta farci l'abitudine. Siti da non perdere
Archivi
Febbraio 2018
Categorie
Tutto
|