È l’1:23 di notte del 26 aprile 1986.
In Europa risuonano gli ultimi echi per i festeggiamenti del 41° anniversario della liberazione dal nazifascismo.
Nel frattempo, nella centrale nucleare è in corso il test di sicurezza sul reattore. La violazione di norme di sicurezza e di buon senso, portano a un improvviso e incontrollato aumento della potenza - e quindi della temperatura - del nocciolo n. 4.
L’acqua di refrigerazione si scinde in idrogeno e ossigeno, la separazione è violenta, violentissima, le pareti non tengono. Il tetto del reattore salta. L’esplosione è terrificante, sale come un ombrello, su, verso il cielo, e poi si trasforma in una fontana e ridiscende a terra, ricoprendo vaste aree intorno alla centrale. La gravissima contaminazione rende necessaria l’evacuazione di circa 336mila persone.
Il rapporto ufficiale redatto da agenzie dell’ONU, parla di 65 morti accertati e 4000 decessi per leucemie e tumori che si verificheranno nell’arco di 80 anni dall’incidente.
Le cifre, secondo altri, sarebbero ben più drammatiche.
Nei giorni successivi la nube radioattiva attraversa i cieli dell’Europa orientale, della Finlandia, della Scandinavia per poi spingersi ancora verso quelli d’Italia, Francia, Germania, Svizzera, Austria, Balcani, e via ancora fino a tratti della costa orientale del Nord America.
Non dimentichiamo, accade troppo spesso. E la memoria corta, non è mai buona maestra.