A Messina si diploma, nel 1919, all’Istituto Tecnico A. M. Jaci.
A questo periodo risale l’incontro con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, ne nasce un’amicizia che durerà tutta la vita. È anche il tempo in cui inizia a scrivere versi, che vengono pubblicati su riviste simboliste locali.
Continua a scrivere e pubblicare versi, studia latino e greco in Vaticano con monsignor Rampolla del Tindaro.
Nel 1926 viene assunto al Ministero dei Lavori Pubblici, con assegnazione al Genio Civile di Reggio Calabria. L’occupazione gli garantisce uno stipendio, anche se l'attività di geometra è gli totalmente estranea e nulla ha a che vedere con i suoi interessi letterari.
Tuttavia, riprende i contatti con gli amici messinesi della prima giovinezza, soprattutto con Salvatore Pugliatti, rinomato giurista e fine intenditore di poesia. Questo riavvicinamento riaccende in Quasimodo la passione, riprende così i versi del decennio romano, per limarli e aggiungerne di nuovi.
Nel 1929 Quasimodo è a Firenze, dove il cognato Elio Vittorini lo introduce nell'ambiente di "Solaria", facendogli conoscere i suoi amici letterati, da Alessandro Bonsanti, ad Arturo Loira, a Gianna Manzini, a Eugenio Montale, che comprendono immediatamente le doti di Salvatore. E proprio per le edizioni di "Solaria" esce nel 1930 “Acque e terre”, prima opera poetica di Quasimodo, opera che la critica accoglie con favore.
Nel 1932, Quasimodo vince il premio dell'Antico Fattore, patrocinato dalla rivista e, nello stesso anno, esce “Oboe sommerso” per le edizioni di "Circoli".
Nel 1934 Quasimodo si trasferisce a Milano, città che segna una svolta importante nella sua vita personale e artistica. Entra a far parte del gruppo di "corrente" di cui fanno parte poeti, musicisti, pittori, scultori.
Nel 1936 pubblica con G. Scheiwiller “Erato e Apòllion” (prefazione di Sergio Solmi), altro libro fortunato che conclude la fase ermetica della sua poesia. Nel 1938 lascia il lavoro al Genio Civile e inizia l'attività editoriale come segretario di Cesare Zavattini, che più tardi lo farà entrare nella redazione del settimanale "Il Tempo". Lo stesso anno, esce la prima importante raccolta antologica “Poesie”, con un saggio introduttivo di Oreste Macrì, che rimane tra i contributi fondamentali della critica quasimodiana. Il poeta intanto collabora alla principale rivista dell'ermetismo, la fiorentina "Letteratura". Nel 1939-40 Quasimodo traduce dei Lirici greci, che uscirà nel 1942. L’opera, proprio per il suo valore, sarà ripubblicata e riveduta più volte.
Nel 1941 gli viene offerta, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso il Conservatorio di musica "G. Verdi" di Milano. Lì, insegnerà fino all'anno della sua morte.
Sempre nel 1942 esce “Ed è subito sera”.
Durante la guerra, nonostante mille difficoltà, Quasimodo continua instancabilmente a lavorare: scrive versi, traduce molti Carmina di Catullo, parti dell'Odissea, Il fiore delle Georgiche, il Vangelo secondo Giovanni, Epido re di Sofocle (lavori che vedranno la luce dopo la liberazione). L'attività di traduttore, continuerà nel tempo, contemporaneamente alla propria produzione con risultati eccezionali. Fra le sue traduzioni opere di Ruskin, Eschilo, Shakespeare, Molière, Cummings, Neruda, Aiken, Euripide, Eluard (uscita postuma).
Nel 1947, vede la luce la sua prima raccolta del dopoguerra, “Giorno dopo giorno”, libro che segna una svolta nella poesia di Quasimodo, tanto che si parla e si continuerà a parlare di un primo e un secondo Quasimodo. L'esperienza sconvolgente della guerra, la convinzione che l'imperativo è quello di "rifare l’uomo" e che ai poeti spetta un ruolo importante in questa ricomposizione, porta Quasimodo a ritenere inadeguata ai tempi una poesia troppo soggettiva, e si apre a un dialogo più aperto e cordiale, pervaso di umana pietà, rimanendo però fedele al suo rigore, al suo stile.
Dal 1948 Quasimodo tiene la rubrica teatrale sul settimanale "Omnibus" (nel 1950, sempre come titolare della stessa rubrica, passerà al settimanale "Il Tempo").
Nel 1949 esce “La vita non è un sogno”.
Nel 1950 Quasimodo riceve il premio San Babila e nel 1953 l'Etna-Taormina insieme a Dylan Thomas.
Nel 1954 viene pubblicato “Il falso e vero verde”, un libro che segna una terza fase della poesia di Quasimodo, e rispecchia il mutato clima politico. Dalle tematiche prebelliche e postbelliche si passa a quelle del consumismo, della tecnologia, del neocapitalismo, tipiche di quella "civiltà dell'atomo" che il poeta denuncia mentre si ripiega su se stesso e muta una volta ancora la sua strumentazione poetica. Il linguaggio ridiventa complesso, più ruvido, e il ritmo si fa più secco, suscitando perplessità in quanti vorrebbero il poeta sempre uguale a se stesso.
Segue nel 1958 “La terra impareggiabile”, premio Viareggio e “L'antologia della Poesia italiana del dopoguerra”. Lo stesso anno, in URSS per un viaggio, viene colpito da infarto, cui segue una lunga degenza all'ospedale Botkin di Mosca.
Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore Quasimodo riceve il premio Nobel per la letteratura e legge il discorso “Il poeta e il politico”, che varrà pubblicato l'anno seguente nell'omonimo volume che raccoglie i principali scritti critici di Quasimodo. Al Nobel seguono moltissimi scritti e articoli sulla sua opera, con un ulteriore incremento delle traduzioni.
Nel 1960, dall'Università di Messina gli viene conferita la laurea honoris causa e insignito della cittadinanza di Messina.
Sempre nel 1960 sul settimanale "Le Ore" gli tiene una rubrica di "Colloqui coi lettori", che curerà fino al 1964, anno in cui passerà al "Tempo" con una rubrica simile.
Nel 1966 Quasimodo pubblica il suo ultimo libro, “Dare e avere”, titolo emblematico per una raccolta che è quasi un testamento spirituale.
Nel 1967 l'Università di Oxford gli conferisce la laurea honoris causa.
Colpito da ictus ad Amalfi, dove si trova per presiedere un premio di poesia, muore sull'auto che lo trasporta a Napoli. È il 14 giugno 1968.