Fabio Benincasa
(Fonte: http://www.ecodelcinema.com/alfred--hitchcock.htm)
Alfred Joseph Hitchcock, nato a Londra il 13 agosto 1899, è stato e rimane uno dei più influenti registi della storia del cinema. Di umili origini, il padre vende verdure al mercato dell’East End, viene educato molto severamente dai gesuiti, visto che la famiglia è di religione cattolica. Il senso di angoscia di questa educazione repressiva torna spesso a galla nella costruzione paranoica della suspence, in molti suoi film. Fin da bambino, Hitchcock dimostra interesse verso l’arte e il cinema, ma intraprende anche studi scientifici e tecnici. Nel 1920 comincia a lavorare per l’industria cinematografica inglese, disegnando manifesti e locandine per i film. Dalla gavetta fa una rapidissima carriera, fino a cominciare a dirigere i suoi primi muti nel 1923. Il suo primo grande successo è “The Lodger” (1926), la storia di un uomo ingiustamente sospettato di essere un serial killer. A partire da questo lavoro, Hitchcock inaugura la tradizione di apparire sempre nei suoi film per una brevissima scena, una gag che non abbandonerà mai più e che diventerà una specie di firma autoriale. Con l’avvento del sonoro il giovane Hitchcock diventa uno dei registi di punta in Gran Bretagna, inanellando una serie di successi come: “Il club dei trentanove” (1935), “La signora scompare” (1938), “La taverna della Giamaica” (1939). Grazie alla fama acquisita, il produttore americano David O. Selznick lo chiama a lavorare ad Hollywood. Hitchcock coglie al volo l’occasione per entrare nel giro internazionale, si trasferisce a Los Angeles e realizza “Rebecca la prima moglie” (1940), con Laurence Olivier e Joan Fontaine. “Rebecca” si aggiudica due Oscar, Miglior Film e Miglior Fotografia, lanciando immediatamente il nome del regista nell’empireo hollwoodiano. Con Selznick, alla RKO, Hitchcock gira pellicole famosissime, fra cui: “Il sospetto” (1941), con un raro Cary Grant nel ruolo ambiguo di cattivo; “Io ti salverò” (1945) onirico giallo-psicanalitico con Gregory Peck e Ingrid Bergman, scenografato da Salvador Dalì e soprattutto “Notorius, l’amante perduta” (1946), capolavoro spionistico che contiene anche uno dei baci più lunghi della storia del cinema hollywoodiano. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Hitchcock è ormai uno dei registi più famosi in America, il suo nome appare in grande, prima ancora del titolo del film. Tuttavia nell’opinione della critica il suo modo di fare cinema è ancora solo commerciale. Lasciata la RKO, passa alla Warner, della quale diventerà poi uno dei principali dirigenti, oltre che il più importante regista. A metà degli anni Cinquanta comincia anche a produrre la famosissima serie televisiva “L’ora di Hitchcock”. Nonostante non giri che una ventina di episodi su oltre 300, introduce con brevi e gustosi siparietti umoristici ogni telefilm. Gli anni fra il 1954 e il 1960 sono considerati il suo periodo d’oro: gira infatti, uno dietro l’altro, pietre miliari del cinema di suspence, usando preferibilmente Cary Grant o James Stewart come protagonisti, di solito in coppia con spettacolari attrici bionde. Sono film come: “La finestra sul cortile” (1954), “Caccia al ladro” (1955), “L’uomo che sapeva troppo” (1956), “La donna che visse due volte” (1958), “Intrigo internazionale” (1959). In Europa, grazie al gruppo di critici e registi che si organizzano attorno alla rivista Cahiers du Cinéma, il suo nome comincia ad essere riabilitato. Si parla di lui come di un vero e proprio autore, dotato di una poetica e di un’abilità tecnica straordinaria. Qualche anno dopo, François Truffaut e Jean-Luc Godard lo andranno a intervistare, producendo un interessantissimo confronto fra la vecchia scuola di Hollywood e la nuova ondata di registi cinefili che sta per conquistare gli schermi europei. Intanto Hitchcock, con “Psycho” (1960) rompe tutti gli schemi formali del thriller, con una storia che inclina quasi verso l’horror e che vede la supposta protagonista morire a sorpresa a un terzo del film. Il successo di questa pellicola, girata in low budget, con metodi televisivi è mondiale. “Psycho” rimane un film unico per quasi un decennio, perché nessun regista oserà spingere tanto sul pedale orrorifico, fino all’avvento degli slasher movie degli anni ’70. Subito dopo Hitchcock gira “Gli uccelli” (1963), misterioso horror nel quale inspiegabilmente la California è flagellata da stormi di volatili assassini. La tensione e il mistero di questo lungometraggio sembrano alludere direttamente a temi come la minaccia nucleare e il generale senso di angoscia che pervade la società americana dopo la cosiddetta “Crisi dei Missili”. Il film è considerato il capostipite di tutti i catastrofici che andranno così di moda fra fine anni ’60 e gli anni ’70. Intanto la vena del regista sembra andarsi esaurendo, nonostante sia ancora in grado di realizzare ottimi lavori come “Marnie” (1964), con un inedito Sean Connery, o “Frenzy” (1972), violentissima vicenda su un serial killer inglese. Nonostante i suoi film abbiano portato a casa un totale di 28 Oscar di vario genere, lui non ne ha mai ricevuto uno per la regia. Nel 1968 l’Academy, a titolo di riparazione gli assegna il premio Thalberg alla carriera. Il cinema sta cambiando, anche grazie agli epigoni hitchcockiani della Nouvelle Vague, e dopo “Complotto di famiglia” (1976), Hitchcock sceglie di ritirarsi. Morirà qualche anno dopo, nel 1980, mentre ancora progetta un possibile ritorno alla regia, salutato da tutti i cinefili del mondo come uno dei principali maestri della cinematografia.
Fabio Benincasa (Fonte: http://www.ecodelcinema.com/alfred--hitchcock.htm)
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