Ora, per non mettere più tempo in mezzo, che troppo lungo è stato per il passato, siccome sforzato da quella per ubbidire, dico, che avendo a fare una tanta opera a ogni altro principe io non la farei per il valore di quindicimila ducati d’oro, e qual si voglia altro uomo non la saprebbe guardare, non che fare. Ma per essere divoto ed amorevole vassallo, e servo di sua ill. Ecc., sarò contentissimo quando a quella gli piaccia di donarmi cinquemila ducati d’oro in oro contanti e cinquemila ne ‘l valsente di tanti beni immobili, perchè questo resto della mia vita io mi sono resoluto di vivere e morire al servizio di quella; e se io gli ho fatto una prima e così bella opera, quest’altra spero di farla maravigliosa, e di lasciarmi e gli antichi e i moderni indietro quanto dal mondo io sarò giudicato, di che tutto ne proviene immortale e laldabile gloria a sua Ill. Ecc. Solo io la scongiuro per il valore e potenzia di Dio, che prestissimo mi spedisca, che tenendomi così mi ammazza; e si ricordi, siccome io gli ho sempre detto, di volergli dare in serbo quel resto del mio povero sussidio che mi era rimasto del mio felicissimo stato in che io mi trovavo, volendo contento correre seco la sua felicissima fortuna. Consideri sua Ecc. se io in sino a questo dì, con le comodità grandi che io avevo con quei barbari, che gran quantità d’oro io arei messo insieme; nonostante questo, io mi contento molto più d’uno scudo con sua Ecc. che di cento da ogni altro principe, sempre pregando Iddio che felicissima la conservi. Firenze, 1554.
(da: Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da' più celebri personaggi dei secoli VX, XVI e XVII di G. G. Bottari e S. Ticozzi - vol. 1)