Eh no! Ci sono quelle da uomo, da donna, da bambino. Biciclette da turismo e city bike. Ci sono le biciclette monoposto e i tandem. Quelle reclinate e quelle pieghevoli. Ci sono le biciclette da corsa su strada e da pista, mountain bike e BMX per le acrobazie. Per non dire delle biciclette a pedalata assistita, con batterie ricaricabili o in versione fotovoltaica e a idrogeno.
Gli accessori? Un’immensità: parafanghi, paracatena, luci a dinamo o elettriche, ciclocomputer, portapacchi, borse, cesti di varie fogge, il sound system per non farsi mancare la musica, trombe e campanelli, selle in grado di soddisfare ogni esigenza, manubri, lucchetti, seggiolini, cavalletti. Insomma, ognuno può trovare la bicicletta che meglio s'addice alle proprie necessità.
Però, da dove arriva? Chi è il papà della nostra variopinta e super-tecnologica bicicletta?
Bello, direte voi. Sì. Se non fosse che quel conte, in realtà, non è mai esistito e il celerifero era una diligenza a cavalli importata in Francia dall'Inghilterra nel 1817 da un certo Henri de Sievrac.
Arriviamo, così, al nostro barone Karl Friedrich Christian Ludwig Drais von Sauerbronn, uomo ingegnoso, e questa volta, reale, già inventore di una macchina da scrivere a tasti, di un tritacarne, un estintore, un riflettore a luce solare e persino un sottomarino con periscopio. È lui, a progettare la Laufmaschine "macchina per correre", composta da due ruote di legno con otto raggi, che procede con la spinta dei piedi sul terreno e soprattutto, dotata di un manubrio mobile che consente di indirizzarla. La laufmaschine, ovvero, l'antenato della bicicletta.
Il 12 luglio 1817 il nostro brillante barone fa una corsa di 28 chilometri. Dopo poche settimane di chilometri ne fa ben 78. Il 12 gennaio 1818 ottiene il brevetto d’invenzione a Baden e il 17 febbraio in Francia. Seguono la Prussia, la Baviera, il Belgio e gli Stati Uniti. Bocciata invece la domanda a Francoforte e a Vienna. In Francia la laufmaschine viene battezzata vélocipède o, prendendo spunto dal nome del suo inventore, draisienne. Il 5 aprile 1818 l’intraprendente Karl dà dimostrazione nei Giardini del Lussemburgo a Parigi. Il pubblico francese si incuriosisce, ma non si entusiasma troppo e la stampa non dà grande importanza alla nostra antenata bicicletta che, nonostante questo, si diffonde.
A Milano il 3 settembre 1818 viene emesso un bando che vieta l'uso dei velocipedi durante la notte a causa del rumore che provocano sul selciato. Si legge: "È proibito di girare nottetempo sui velocipedi per le contrade e per le piazze interne delle città. È tollerato, però, il corso dei medesimi sui bastioni e sulle piazze lontane dall'abitato. I contravventori saranno puniti con la confisca della macchina".
Il 22 dicembre la draisienne ottiene il brevetto in Inghilterra e viene battezzata hobby horse. Ed è in Inghilterra che prendono vita le prime grandi modifiche, grazie a Denis Johnson che, fra l’altro ha il merito di produrre i primi modelli per donne.
Lo scozzese Kirkpatrick Macmillan, utilizza un sistema che prevede l’uso di una manovella per generare la spinta senza l’uso dei piedi. Il suo connazionale Gavin Dalzell è l'inventore del velocipede a leve.
Un grande avvenimento si compie nel marzo 1861, quando il cappellaio parigino Auguste- Arsène Brunel, porta a riparare la sua draisienne nell'officina di Pierre Michaux. Pierre ha sei figli. Uno di questi, Ernest, 19 anni, la prova. Trova che sia troppo faticoso muoversi con un mezzo simile. Ne discute con il padre. L’idea del padre è buona e Ernest la realizza. D’ora in poi il nostro velocipede avrà i pedali. Ernest è il primo a correre. Prova la nuova draisienne sugli Champs Élysées.
Pierre Michaux, ha tanto ingegno e poco senso degli affari. Non brevetta il velocipede, inizia a produrre in serie dei nuovi mezzi di trasporto. Di lì a poco, molte saranno le officine che faranno altrettanto. La sorte non lo assiste, il 29 marzo 1870 la sua società fallisce. Per lui e la sua famiglia sarà la rovina.
Il primo brevetto viene concesso a Pierre Lallement e James Carrol, negli Stati Uniti, il 20 novembre 1866.
La via è tracciata, le modifiche per migliorare la futura bicicletta si susseguono. Il telaio viene alleggerito, i raggi delle ruote assottigliati. Vengono introdotte la gomma piena per le ruote e il puntapiede. Nel 1870 il velocipede viene battezzato per l’ennesima volta con un nuovo nome: boneshaker. Arriva la grand-bi, con una grande ruota anteriore e una piccola posteriore. Bella e costosissima, diventa immediatamente di moda negli ambienti blasonati.
E non finisce qui. Compare un mezzo che riduce il rischio di ribaltare, un triciclo che presenta una piccola ruota anteriore e due grandi posteriori.
Ma la prima bicicletta pare datata 1868, anche se la prima domanda di brevetto è di Henry John Lawson, di Coventry, che la presenta il 30 marzo 1880.
In Inghilterra, troviamo un velocipede brevettato da Otto e Wallis, molto interessante, dotato di trasmissione a catena. Nome di battesimo: Kangaroo.
John Kemp Starley, nipote dell'inventore del grand-bi, il 28 gennaio 1885 allo Stanley Show presenta un nuovo modello: The Rover, con due ruote uguali e la trasmissione a catena. La prima bicicletta di successo.
L’invenzione del pneumatico smontabile è dei fratelli Michelin e risale al 1891.
La nostra bicicletta è diventata un simbolo. Pedalano i potenti, pedalano i famosi del momento. Pedalano attrici e scrittori, ballerine e musicisti. Il figlio di Napoleone III corre lungo la spiaggia di Trouville e tutti lo chiamano Vélocipede IV. Re Leopoldo va in triciclo a Bruxelles, lo zar Nicola pedala a più non posso. L’imperatore Pu-yi pedala a Pechino.
La regina Margherita prende lezione di “guida” nel parco della Villa Reale di Monza. E dopo la regina Margherita ecco quella di Napoli. E pedalano anche la principessa del Portogallo e le duchesse di Genova e d’Aosta.
In Italia il velocipede compare nel 1867. A partire dall’anno successivo si inizia a costruirne. Nel 1884 a Torino, Costantino Vianzone presenta il “bicicletto”, modello interamente in legno. Poi verrà adottato il nome al femminile. Nel 1885 inizia la produzione delle biciclette Bianchi, nome storico. La bicicletta oramai è famosa, conquista il mondo. Figlia di molti padri, forse molto più antichi di quelli che abbiamo incontrato.
E il nome “bicicletta”? il termine bicyclette (per noi bicicletta) lo troviamo in Francia nel 1880 circa, usato come diminutivo di bicycle.
Non dite “È solo una bicicletta”. Fatele un sorriso e datele un buffetto sulla sella!