"Caro Illica, sono lieto delle buone notizie della tua Rachele: le mie sono tristissime! Mi sfasciarono ieri e fu talmente irrisorio, il progresso, che Guarnieri dichiarò che ne avrò ancora per tre mesi se mi dice bene. Non ti sto a dire come mi trovi! E io che speravo di mettermi al piano e di cominciare a lavorare e di mettere il piede a terra! Addio tutto, addio Butterfly, addio vita mia! È terribile! E lo scoramento ora mi prende davvero. Cerco farmi animo, ma non riesco a calmarmi (...)" G.Puccini a Luigi Illica, 13 maggio 1903.
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.239)
Anche il rapporto con Giulio Ricordi stava vivendo un momento critico: Ricordi rimproverava a Puccini di essersi adagiato dietro uno stato di prostrazione fisico e morale e di lasciar offuscare la sua reputazione di grande musicista dalla sua attitudine a correre dietro alle femmine di mezzo mondo. Ricordi vedeva le amanti di Puccini come delle femmes fatales, mantidi che lo conducevano al baratro del suo genio, un tremendo pericolo per la sua reputazione. Puccini da tre anni aveva una relazione con una giovane studentessa di Torino, relazione che era divenuta di dominio pubblico anche negli ambienti musicali e che spinse Ricordi a riprendere il suo pupillo con una vera e propria lezione di morale, affinché Puccini riprendesse il suo "genio musicale" e mollasse le "geniali grinfie delle sue giovani amanti dalle quali si è fatto attanagliare".
"Ma è mai possibile che un uomo come Puccini, che un artista che fece palpitare e piangere milioni di persone con la potenza e col fascino delle proprie creazioni, sia diventato trastullo imbelle e ridicolo fra le mani meretricie di femmine volgare ed indegna? (...) Ed una bassa creatura, dagli istinti puttanieri, si impossessa del cuore, della mente, del corpo di così eletto artista, e con oscene voluttà che lo avrebbero condotto alla morte morale, poi alla fisica, lo fa suo trastullo così da apparire ai di lui occhi come fata benefica, amorosa ispiratrice! Vile, bassissima, che pur di raggiungere l'oscenità voluttuosa e far cosa sua della persona, non rimorde dall'uccidere un artista genialissimamente italiano, che l'Italia onorava come era dall'Italia onorato!".
(G.Ricordi a Giacomo Puccini, 31 maggio 1903).
Puccini cercò in ogni modo di calmare le acque. Il 3 gennaio 1904 sposò Elvira regolarizzando la relazione che durava da vent'anni nonostante l'innegabile lontananza d'affetti dei due. Calmò la polemica con Ricordi e i librettisti che, all'opera su Butterfly, subirono nuovamente le pressioni del compositore. Placò il suo tormento e si buttò al lavoro sulla Butterfly. Il 27 dicembre 1903 Madama Butterfly fu terminata, pronta per la prima della Scala. Puccini era fiduciosissimo del suo lavoro tant'è che scriveva a Rosina Storchio, la prima Cio-Cio-San, a poche ore dall'esordio del 17 febbraio:
"Cara Rosina, è inutile il mio augurio! È così vera, delicata, impressionante la sua grande arte, che certo il pubblico ne sarà soggiogato! E io spero, per mezzo suo, correre alla vittoria! A stasera, dunque, con animo sicuro, con tanto affetto, carissima." (G.Puccini a Rosina Storchio, 17 febbraio 1904).
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.256)
Ma il successo non venne, anzi, fu un vero disastro. Puccini credeva comunque nella sua creatura, sapeva di aver fatto l'ottimo lavoro che era necessario fare e due giorni dopo la "sconfitta" scriveva ai nipoti:
"(...)Io sono abbastanza tranquillo ad onta della batosta avuta, perché so d'aver fatto opera viva e sincera, e che risorgerà sicuramente. Ho questa fede" (G.Puccini a Carlino e Assuntina Del Carlo, 19 febbraio 1904).
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.260)
Ma il vero stato d'animo del compositore lucchese venne sottolineato dalla moglie Elvira, che fu presente alla prima di Milano, in una lettera che inviò alla cognata Odilia:
"(...) Milano è l'inferno e sarei già scappata se non fosse egoismo abbandonare Giacomo nella sventura. Nel primo momento si faceva coraggio. Oggi è abbattuto e mi fa proprio compassione. Povero Giacomo! Come è stato malvagio il pubblico! [...] Prima della rappresentazione molti dicevano: ‘Sarà un fiasco sicuro!'. Non so quel che mi dico. Povero Giacomo." (E.Puccini a Odilia Del Carlo, 20 febbraio 1904).
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.260)
Puccini nonostante lo sconforto del tonfo milanese di Butterfly (Teatro alla Scala, 17 febbraio 1904), non smise mai di credere nella sua creatura, anche se lo stesso Ricordi l'aveva appellata come un "peso piuma" ossia un lavoro che poco rappresentava il mondo pucciniano. Così scriveva, infatti, all'amico Don Pietro Panichelli:
"Povero prete nascosto tra i monti! Tu sarai spaventato dalle vili parole della stampa invidia. Niente paura! La Butterfly è viva e verde e presto risorgerà. Lo dico e lo sostengo con fede incrollabile. Vedrai. E sarà fra un paio di mesi. Non posso dirti dove, per ora". (G.Puccini a Don Pietro Panichelli, 27 febbraio 1904).
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.263)
Puccini aveva sete di riscatto, era arrabbiato e profondamente addolorato per il modo in cui la critica aveva trattato la sua Butterfly non capendo che il colpo più duro l'aveva ricevuto dal pubblico e non dai giornali che, fondamentalmente, avevano usato toni meno disastrosi dei fischi e dei boati di sala.
"(...) il mio è abbattimento rabbioso, non scoramento! Come sono stati crudeli i ‘buoni' milanesi e i cani dei giornalisti! Con quale livore si sono scagliati! Mai credo sia accaduto così, con tanta rabbiosa e biliosa veemenza. Io però (...) sono contento del mio lavoro e lo amo sempre più. E giuro a Dio e agli angeli suoi che è l'opera mia più sentita e più sincera scritta, e farà inghiottire il verde spurgo ai denigratori d'oggi -vedrai- e presto, Dio è poi giusto!!!"(G.Puccini a Antonio Bettolacci, amico di Torre del Lago, febbraio 1904)
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.264)
Lo stesso Giovanni Pascoli incitava il compositore lucchese a non arrendersi dimostrando la sua solidarietà in versi su una cartolina:
"Caro nostro e grande Maestro,
la farfallina volerà:
ha le ali sparse di polvere,
con qualche goccia qua e là,
gocce di sangue, gocce di pianto...
Vola, vola, farfallina,
a cui piangeva tanto il cuore;
e hai fatto piangere il tuo cantore...
Canta, canta, farfallina,
con la tua voce piccolina,
col tuo stridire di sogno,
Fievole come il sonno
soave come l'ombra,
dolce come una tomba,
all'ombra dei bambù: a Nagasaki e a Cefù"
(G.Pascoli a Giacomo Puccini)
Il successo di Brescia (28 maggio 1904) sancì la riscossa dell'editore Ricordi, dei librettisti Illica e Giacosa tormentati per l'inspiegabile flop che così ebbero a commentare:
"Carissimo Sig.Giulio, tutti i telegrammi che ho ricevuto si corrispondono fedelmente ed esattamente e concordano nel successo colossale, clamoroso e sincero. E noti che non tutti quelli che mi hanno telegrafato erano amici di Butterfly e di Puccini. Nel leggere i telegrammi il nostro pensiero è volato a Lei, e tanto io che Rachele abbiamo provato, pensando a Lei, quella forte e intima soddisfazione d'animo che si prova davanti a un grande fatto di giustizia umana. Era ora, perdio!, abbiamo esclamato. Ed è giusto che oggi dobbiamo ridere un po' anche noi! Ed è giusto, anche, che l'oste nemica debba trangugiare il verderame delle sue casseruole e della sua rabbia. O che dovevamo proprio tutti quanti, e insieme, rappresentare noi un collettivismo d'imbecillità e di stupidità! Intanto: Viva Butterfly, for ever!". (L.Illica a Giulio Ricordi, fine maggio 1904).
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.274)
Una vera liberazione, un vero godimento come sottolinea il compositore lucchese:
"Caro Illica, i musi (...) erano torbidi amleteschi quella sera! Io quanti più musi vedevo, tanto più capivo che il successo era forte! Quanto ho goduto, specie per la gioia del nostro Sig. Giulio!". (G.Puccini a Luigi Illica, 30 maggio 1904)
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.275)
Dopo la reazione osannante del Brescia nei confronti del lavoro pucciniano su Butterfly (Teatro Grande di Brescia, 28 maggio 1904), Puccini spicca il volo in Italia così come all'estero. Ormai è un artista molto noto, nei riguardi del quale la platea internazionale si dimostra generosa. Puccini vive il suo successo, è orgoglioso dei suoi traguardi e vive ogni conquista come se fosse la prima volta, come se ancora non si fosse abituato all'ebbrezza della fama dopo tanti trionfi. Così, infatti, scrisse da Londra all'amico Vandini:
"Caro Vandini, (...) Qui la va benone: sabato va la Butterfly per la terza stagione, e il teatro è già esaurito da giorni di bagarinaggio. Non puoi immaginarti l'entusiasmo che c'è qui per la mia musica. L'altra sera Bohème, 35.000 incasso: io non trovai posto! Ero in incognito, e fui felice di non venire fuori a far mostra di me. Caruso canta sempre le mie opere; ci sarà una Tosca ‘monstre' con Ternina, Caruso, Scotti; una Butterfly con Destinn (straordinaria) dell'Imperiale di Berlino, Caruso, Scotti; dirigerà Campanini. Sto benone. Quando potrò dare a Roma le mie opere come voglio io e una Butterfly coi fiocchi?" (G.Puccini a Alfredo Vandini, 25 maggio 1906).
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.322)
Madama Butterfly fu dedicata da Giacomo Puccini alla Regina Elena che ebbe splendide parole da riservare al lavoro del compositore lucchese dopo aver assistito alla rappresentazione sul palcoscenico del Teatro Massimo di Palermo:
"Caro Vandini, ritornato da Budapest [nel maggio 1906 Madama Butterfly, insieme alla Bohème e a Tosca, era stata rappresentata a Budapest tradotta in ungherese, rappresentazione alla quale il compositore aveva assistito] e trovo qui un telegramma che potrà interessare il Giornale d'Italia, e sarei contento se fosse pubblicato; è un po' in ritardo, ma che farci? La Regina, cui la Butterfly fu dedicata, mai aveva sentito l'opera, e da Palermo, dopo la serata di gala, volle che ricevessi il seguente telegramma: ‘Ieri in questo Massimo Teatro Sua Maestà la Regina ha assistito all'esecuzione di Madama Butterfly ed ha rilevato con il più gradevole soddisfacimento i rari pregi artistici dell'ispirato lavoro di cui si compiaceva accettare la dedica. Sono lieto di essere presso di lei interprete di questi sovrani sentimenti'. Firmato: il gentiluomo di corte di servizio: Bruschi Falgari."
(G.Puccini a Alfredo Vandini, 19 maggio 1906)
(E.Gara, Carteggi Pucciniani, Ricordi, 1958, p.322)
I due mesi che Puccini visse a Parigi per seguire la messa in scena della Madama Butterfly all'Opéra-Comique (28 dicembre 1906) sembrarono consumarlo. Puccini era sfinito, sconsolato. "Per la mise en scéne è di un'eccessiva meticolosità da far venire i capelli grigi. Pazienza e pazienza.", così era stato etichettato dal compositore lucchese in una lettera a Giulio Ricordi il direttore del teatro, Mr.Carré, marito dell'interprete principale, M.me Carré. Niente sembrava incoraggiarlo: Puccini aveva trovato piatta l'esecuzione musicale di alcune ultime opere messe in scena nella capitale francese quali "Afrodite" di Camille Erlanger e "Pelléas et Mélisande" di Debussy e, sempre a Ricordi, aveva scritto "ormai la musica che si fa qui è cosa da far paura. Dunque non è gran sforzo vincere con Butterfly, salvo che si voglia amareggiare lo straniero". Infatti, un'altra delle sue angosce era il chiacchiericcio che si era creato intorno a Butterfly: André Messager aveva parlato di Butterfly come di una recidiva pucciniana di fronte al repertorio operistico francese. Parigi aveva già visto al Theatre Lyrique de la Renaissance il lavoro dell'artista francese nel 1893 dal titolo "Madame Chrysanthème" tratto dall'omonimo romanzo di Loti. L'amore tradito della piccola giapponesina Butterfly avrebbe avuto, pertanto, dei grossi tratti in comune con le scene di Messager già note al pubblico francese. Puccini temeva, pertanto, di essere boicottato e confidava soltanto nella potenza della sua musicalità. La sostituzione di Luigini -grande esperto del repertorio pucciniano- con l'Ullman alla direzione dell'orchestra parigina nonché la possibilità della performance della Carré, adatta alla vocalità di Bohème ma forse poco incline nel vestire i panni di Butterfly, lo avevano ancor più scoraggiato. Lo stesso Illica riportò a Ricordi in una lettera l'immagine della profondità dell'amarezza di Puccini, pur non nascondendo la sua personale certezza del successo della rappresentazione:
"Ho trovato Puccini sconfortato, abbattuto, disperato. Due mesi di Parigi lo hanno spleenificato atrocemente (...) Aggiunga il colore fosco col quale si presentava ai suoi occhi Butterfly all'Opéra-Comique, la insufficienza di M.me Carré, la miseria dell'insieme, l'allemanismo dell'Ullmann direttore d'orchestra, il carattere imperialista di Carré, ed a lui riuscirà facile immaginarsi Puccini di facciata e di profilo. (...) Poi andai con lui e assistetti alla intera Butterfly...e dallo scoraggiamento della mattina vidi a poco a poco, atto per atto, rinascere non solo la speranza e la fiducia, ma animarsi Puccini nella certezza di un gran successo. (...) M.me Carré lotta contro evidenti difficoltà di tecnica e di voce; ma laddove deve dare commozione, la commozione essa riesce a darla, ed imporla e, o vengano da lei o da quel benedetto intuito artistico, o sieno suggeriti da Carré, vi sono in M.me Carré dei momenti di interpretazione eccezionale. (...) La messa in scena di Carré, in gran parte molto diversa dalla nostra, è una messa in scena logica, pratica e poetica". E ancora "Ma il successo non potrà mancare; e sarà un successo che lascerà il segno, come Bohème!"
(Fonte: http://www.comitatopuccini.it/page.php?page=173)