L’Inquisizione decide di ricorrere - se Galileo non vorrà ammettere i propri errori - alla carta della tortura.
Il 21 giugno, Galileo viene interrogato per l’ultima volta e, consapevole della minaccia che incombe su di lui, ammette di non aver mai appoggiato le teorie copernicane.
Il 22 giugno 1633, Galileo, inginocchiato davanti la Corte Ecclesiastica, nella sala capitolare del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, viene condannato al “carcere formale ad arbitrio nostro” e alla “pena salutare” della recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni.
Formalmente, e davanti alla corte che può decidere della sua vita o della sua morte, Galileo è costretto ad abiurare.
Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da' sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate.
Così Dio m'aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.
Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.
Io, Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria».
Passeranno 350 anni, prima che la Chiesa riconosca il proprio errore e riabiliti Galileo Galilei.