A dodici anni, insieme ai due fratelli Adolfo e Elio, Ettore viene mandato al collegio di Segnitz, in Baviera. I suoi studi comprendono materie tecniche commerciali le lingue straniere, in particolare il tedesco, utili alla carriera di commerciante come desidera il padre.
Nel 1878 torna a Trieste e conclude i suoi studi commerciali all'Istituto Pasquale Revoltella. La sua passione segreta è però la letteratura. Legge i classici italiani e la conoscenza del tedesco gli consente di leggere i maggiori classici tedeschi: Richter, Schiller, Goethe, le opere di Schopenhauer, alcune traduzioni tedesche di opere di Turgenev e Shakespeare.
Nel 1880, quando l’azienda paterna fallisce, Ettore inizia a lavorare presso la filiale cittadina della Banca Union di Vienna, come addetto alla corrispondenza francese e tedesca. Pur non amando questo impiego, lo manterrà per ben diciotto anni. Il lavoro non gli impedisce però di coltivare la sua passione per la letteratura e nemmeno di collaborare con L'Indipendente, giornale di ampie vedute socialiste per il quale scrive recensioni, saggi teatrali e letterari.
Nel 1886 muore il fratello prediletto, Elio.
Ettore comincia a scrivere. Pubblica i racconti “Una lotta” nel 1888 e “L’assassinio di via Belpoggio nel 1890, scritti in lingua italiana sotto lo pseudonimo "Ettore Samigli", cui seguono un secondo racconto ed un monologo teatrale.
Inizia a scrivere alcune commedie: "Ariosto governatore", "Il primo amore", "Le roi est mort: vive le Roi", "I due poeti" e alcune novelle: "Difetto moderno", "La storia dei miei lavori", "La gente superiore".
Nel 1892, anno in cui perde il padre, pubblica, firmando con lo pseudonimo definitivo “Italo Svevo” il primo romanzo “Una vita”, opera che verrà pressoché ignorata da critica e pubblico. Lo stesso anno ha una relazione con Giuseppina Zergol, che ispirerà il personaggio di Angiolina in “Senilità”.
Alla morte del padre seguono, nel 1895 quelle della madre e delle sorelle Noemi e Ortensia.
Italo Svevo affronta il calvario di questi lutti famigliari con l'affettuoso aiuto dell'amico pittore triestino Umberto Veruda e con le attenzioni premurose della cugina Livia Veneziani, con la quale, nel 1886, si unisce in matrimonio. L'anno seguente nasce la figlia Letizia.
Nel 1898, nonostante il lavoro presso la banca, l’insegnamento della lingua francese e tedesca all’Istituto Revoltella, l’impiego al giornale “Il Piccolo, dove è incaricato dello spoglio della stampa estera, pubblica il suo secondo romanzo: “Senilità”. Anche quest’opera passa quasi inosservata. L’insuccesso letterario lo rattrista profondamente, tanto da spingerlo ad abbandonare la sua attività di scrittore.
Nel 1899 Svevo lascia il lavoro alla banca e entra con l’incarico di dirigente nell’azienda del suocero. Iniziano i viaggi d’affari che lo portano in Francia, Austria, Germania, Inghilterra. Porta sempre con sé il violino, senza mai trovare il tempo per esercitarsi. Riaffiora la voglia di scrivere e compone alcune favole e qualche pagina teatrale.
Nel 1903 pubblica la commedia "Un marito".
Nel 1904 un altro lutto scuote il suo animo, muore l'amico Umberto Veruda.
Nel 1905, per l’incremento delle attività aziendali Italo Svevo, che vuole perfezionarsi nella lingua inglese, si rivolge a James Joyce, scrittore irlandese giunto a Trieste qualche anno prima per insegnare l'inglese alla Berltz Scholl.
Il comune interesse per la letteratura fa nascere immediatamente un sentimento di amicizia. Si scambiano valutazioni sui propri lavori. Joyce, dopo aver letto i due romanzi di Svevo, lo incoraggia a proseguire nel suo lavoro di scrittore.
Quando scoppia la prima guerra mondiale, l’azienda del suocero, per la quale Svevo lavora, viene chiusa dalle autorità austriache, l’amico Joyce lascia l'Italia.
Italo Svevo si dedica all’approfondimento della letteratura inglese; si interessa alla psicanalisi traducendo "La scienza dei sogni" di Sigmund Freud, scrive appunti e riflessioni per il suo prossimo romanzo.
Durante tutta la durata della guerra lo scrittore, che rimane nella città natale, mantiene la cittadinanza austriaca e cerca di rimanere il più possibile neutrale di fronte al conflitto. In seguito accetta di buon grado l'occupazione italiana della città. Terminata la guerra collabora al primo grande giornale triestino, "La Nazione", fondato dall'amico Giulio Cesari.
Nel 1923 pubblica il suo terzo romanzo, "La coscienza di Zeno" (1923). Ancora una volta viene sottovalutato dalla critica italiana.
È grazie a James Joyce che “La coscienza di Zeno” avrà il successo che merita. Dopo aver letto il libro, Joyce sollecita Svevo a inviare il testo alla critica francese che esprimerà grande apprezzamento.
Nella primavera del 1925 Italo Svevo si reca a Parigi; incontra i suoi estimatori, mentre in Italia, Eugenio Montale, anticipando tutti, lo pone sul piano più alto della letteratura contemporanea. Scoppia così il “caso Svevo”, vivace discussione attorno allo scritto di Zeno.
Nonostante la salute minata da un enfisema polmonare, causato dal troppo fumo, Svevo prosegue il suo cammino letterario. Scrive i racconti "La madre", "Una burla riuscita", "Vino generoso", "La novella del buon vecchio e della bella fanciulla", tutte pubblicate nel 1925.
A Roma, va in scena il suo atto unico "Terzetto spezzato".
Scrive l'incompiuto "Corto viaggio sentimentale" che verrà pubblicato postumo nel 1949.
Nel 1928 inizia a scrivere quello che dovrebbe diventare il suo quarto romanzo "Il vecchione o Le confessioni del vegliardo". Rimarrà purtroppo incompiuto.
Il 13 settembre 1928, mentre viaggia verso casa con la famiglia, Svevo è vittima di un incidente stradale. Gravemente ferito, muore nell’ospedale di Motta Livenza.
P.B.