Così è scritto nel bando di concorso per la realizzazione del Teatro La Fenice, pubblicato il 1 novembre 1789.
E visto l’estremo rischio di incendio che tutti i teatri corrono, per l’utilizzo di materiali prevalentemente lignei e per la pericolosità del sistema di illuminazione, la Nobile Società richiede "dagli architetti un particolare studio ", promettendo, in cambio, di riconoscere merito a quel progetto che, pur in presenza di elementi costruttivi necessariamente " di materia accendibile come il legno ", renda meno esposta alle fiamme la costruzione, grazie a " pronti e facili ripari ".
si raccomanda inoltre agli architetti di pensare e migliorare le strutture destinate all’uso di chi vi si troverà per ragioni di lavoro, e ad aumentare l’agio e la tranquillità degli spettatori agevolando le vie d’accesso e, perché no, la sosta in luoghi adatti " al caffè ed alla vendita di altri generi anche commestibili. "
I progetti, conclude il bando, dovranno essere presentati entro quattro mesi, aumentati successivamente a sei, e l’architetto riceverà in dono " un medaglione d’oro del peso di trecento zecchini " oltre al pagamento di una " giusta mercede " per sovrintendere ai lavori di costruzione di " un decoroso teatro che finalmente corrisponda ad una capitale ove Palladio, Sansovino, Sammicheli, Scamozzi ed altri valentuomeni del Bel Secolo hanno lasciati così insigni monumenti… "
Gli studi presentati sono in totale ventotto. Tra coloro che partecipano, nove presentano progetti con disegni e modellini in legno. Merita menzione l’architetto teatrale Pietro Checchia, che aveva già ricostruito nel 1774 - dopo la distruzione causata da un incendio - il teatro di San Beneto, teatro considerato a Venezia come il migliore della città. Il progetto presentato dal Checchia viene però reputato debole, oltre a presentare qualche errore, manca di " tono " nella progettazione. I progetto non corrisponde quindi alla volontà dei committenti di dare vita ad un esempio di architettura civile che imponga la sua immagine alla città.
C’è anche l’architetto Sante Baseggio che, pur sostenuto ampiamente dai suoi concittadini, dovrà attendere il 1817 per veder realizzato un suo progetto con il teatro Sociale di Rovigo. Partecipa anche l’anziano abate Antonio Marchetti, architetto diocesano, che in Brescia aveva progettato il Ridotto come sala concepita a palchetti.Rappresentante della scuola padovana di architettura è Daniele Danieletti che propone l’ingresso - che il bando voleva su campo San Fantin - verso il Rio Menuo. Decidendo per un’unica porta di entrata, Danieletti rifiuta sostanzialmente quello che il nuovo edificio dovrebbe rappresentare per committenti, e cioè l’equilibrio tra l’ingresso aristocratico via acqua e l’ingresso democratico e repubblicano via terra.
Altro progetto interessante è quello Giuseppe Pistocchi, autore di un teatrino di grande qualità a Faenza (1780-88), giudicato negativamente dalla commissione a causa della platea a gradoni che porta gli spettatori a livello del palco pepiano e per l’orditura di sei colonne giganti che sottolineano in cinque intervalli la curva dei palchi, da lui battezzata " curva sferoide ".
Il vero grande sconfitto nel concorso è però l’architetto ufficiale della Roma papalina Cosimo Morelli che tra l’altro ha già al suo attivo i teatri di Forlì, Jesi, Imola, Ferrara e Macerata. Il suo progetto entra nel gruppo dei quattro presi in maggior considerazione dalla commissione esaminatrice, nonostante possa essere giudicato il più antiveneziano di tutti perché non utilizza in forma progettuale l’elemento acqueo, inserito nella struttura come un inutile canale.
Altro finalista bocciato, il trevigiano Andrea Bon. La commizzione giudica " ...poco accennata nella pianta dalla parte di San Fantino l’idea dell’autore e niente eseguita sul modello.. " tanto che " ...l’immensa spesa, che si getarebbe nell’esecutione di questa fabrica dove non vi è ne gusto ne ordine, non potrebbe essere mai recuperata dai due palchi di più che egli progetta per ordine ."
Di sicuro peso la figura dell’architetto Pietro Bianchi, autore già nel 1787 di un progetto di teatro-basilica da far sorgere nell’area dei Giardinetti delle Procuratie Nuove sulla riva del Canal Grande, non fosse altro per la accesa contestazione da lui promossa contro il verdetto della giuria del concorso. Bianchi è figlio del gondoliere del Doge Grimani, per il quale aveva curato il restauro del palazzo in San Polo, e non gode del favore del mondo accademico e professionale. Sul piano politico, non appartiene di certo alla cerchia di Andrea Memmo, l’animatore della realizzazione della " Piazza più sorprendente d’Europa ", il Prato della Valle a Padova, cioè di colui che fin dall’inizio ha patrocinato l’idea del nuovo teatro, rimuovendo gli ostacoli alla sua realizzazione. Nel suo progetto Bianchi opta per una figura basilicale, come una sorta di fusione tra un teatro e una chiesa. Per i palchi, sceglie la forma più collaudata della spirale logaritmica del Teatro alla Scala di Milano. Circa le scelte decorative, pensa a una sala "ornata d’intorno di maniera Dorica ", distaccandosi nettamente dalle preferenze estetiche di Andrea Memmo che rifiutava " gli ornamenti, che avessero del centinato, e sinuoso ", suggerendo " di dipingere la Sala stessa de’ palchi a leggieri grotteschi sul gusto di quelli di Raffaello ... mentre potrebbesi riservare tutta la magnificenza nelle Scale, negli Atrj, e nell’esterno del Teatro ", bandendo, in altre parole, dall’interno del teatro " ogni sorta d’ornato, che interromper potesse in qualunque modo la voce, e spezialmente li parati di seta, di teleria, di carte ."
Ad ogni modo la commissione ritiene che il progetto di Bianchi, pur poggiando sul favore di un vasto pubblico, non possieda le regole di statica necessarie. Molti pensano che la vittoria del Selva sia frutto di una precedente concertazione.
Il Selva appartiene a quel gruppetto di concorrenti che presentano anche uno schema di decorazione nel proprio modello ligneo presentato alla giuria. Prevede l’inserimento di un riquadro con " Apollo e le Muse che civilizzano l’umanità " sulla facciata verso il canale, mentre quella verso San Fantin sarà ornata con scene di " Apollo e Marsia " e di " Orfeo che ammansisce Cerbero ". Detti riquadri, secondo il progetto, saranno prodotti a fresco, per rispettare quanto stabilito dalla giuria, " sarebbe desiderabile che tal modo di dipingere sol proprio della veneta scuola ritornasse parcamente anche all’esterno delle fabbriche ."
Per le decorazioni del soffitto, il modello del Selva opta per una semplice struttura a intreccio che forma motivi di losanga, incorniciata da una rigogliosa corona vegetale.
La commissione giudicatrice composta da Simone Stratico, esperto in architettura navale e civile e docente di fisica all’università di Padova, dal padre somasco Benedetto Buratti, cui si riconosce una buona conoscenza dell’architettura, e dallo scenografo e pittore Francesco Fontanesi, lo stesso che con Pietro Gonzaga contribuirà all’allestimento dei Giuochi d’Agrigento il 16 maggio 1792, si attira critiche ferocissime da parte dell’opinione pubblica, aizzata in ciò anche dal partito dei fedelissimi del teatro di San Beneto, poco disposti a veder con favore la nascita di un potenziale concorrente. I lavori però procederanno senza rallentamenti, nonostante tutto, sotto la direzione del Selva, ma la commissione viene spinta a distinguere l’affidamento dell’incarico dal premio in denaro promesso, che verrà consegnato al Bianchi il quale, in questo modo, vincerà il concorso ma non realizzerà l’opera.
Le demolizioni degli edifici che sorgono sull’area destinata ad ospitare la nuova costruzione iniziano nell’aprile del 1790 sotto la supervisione di Antonio Solari e termineranno nell’aprile 1792. Il 16 maggio, festa della Sensa, il teatro viene inaugurato con " I Giuochi d’Agrigento" - testi del conte Alessandro Pepoli, musiche di Giovanni Paisiello -.
In occasione della serata di inaugurazione, il cronista della Gazzetta Urbana Veneta scrive a proposito della decorazione della Fenice «... ha tutti i requisiti che son necessarii all'effetto; chiarezza di tinte, armonia, solidità e leggerezza cose difficili a combinarsi, e che mirabilmente s'uniscono in questo lavoro...». Lo stesso cronista sottolinea che «...tutti li 174 palchi componenti questo Teatro sono simili perfettamente...», trasponendo in tale uguaglianza architettonica l'ideale di un teatro repubblicano.